Iran

 

Bavanat - Isfahan - Yazd - Persepoli - Shiraz - Teheran

 

 

Questo mio viaggio parte dal mio profondo senso di curiosità, di poter abbinare a un nome quale Iran un’idea chiara della gente, dei luoghi, delle abitudini e della storia.

Inizialmente poteva essere una scelta azzardata la visita di una nazione nell’occhio del ciclone, quel nome riportato sulle prime pagine dei giornali o quelle tante righe scritte che giornalisti non si sono mancati di riportare sui quotidiani.

Parto comunque per conoscere nel suo interno una nuova terra, quella terra ricca di storia, di tradizioni, di culture varie, di popoli che vivono in sincronia nonostante le rigide leggi che dettano una dura legge ai propri abitanti.

L’inverno sicuramente non è il mese più adatto per vedere il Paese da nord a sud, da Teheran a Shiraz, abbellite nel proprio interno da giardini, aranceti, da grandi piccoli bazar, quei luoghi tanto diversi tra di loro che si accomunano dal pullulare di tante persone. Si passa dai rossi accesi di stoffe esposte su strette e basse tavole di legno, a colori caldi delle tante spezie che minuziosamente sono sistemate una accanto all’altra all’interno di piccoli sacchi in juta, all’azzurro brillante quanto sfavillante di vasi e piatti che riflettono i visi delle tante persone nel centro di Isfahan, al giallo paglierino che mette in evidenza la amalgama di terra e fango di tante case nel centro storico di Yazd. I colori ti rimangono impressi come le voci, i gesti, la socievolezza, la spontaneità e generosità della gente iraniana. L’accoglienza che trovi all’interno delle tante case da tè, nei bazar, nelle piccole case tradizionali in stile qagiara, nei musei, sulle strade, nei tanti luoghi di preghiera è eccezionale: sembra di rivivere momenti della tua prima giovinezza dove tutti gli adulti attorno ti custodiscono con amore, ti coccolano, ti fanno sembrare al centro dell’attenzione ma allo stesso tempo si prendono cura di te. Questa è stata la mia prima impressione che, giorno dopo giorno, luogo dopo luogo, tradizioni dopo tradizioni, ho avuto modo di riscontrare. Le giornate passavano e i ricordi si fissavano nella mia mente pronti per essere poi riversati da un nero inchiostro su bianche quante profonde ed infinite pagine bianche di un mio diario dove il semplice gesto di scrivere rende immortale tali sensazioni. L’incontro con Davood a Shiraz non ha fatto altro che confermare la mia tesi dove le persone non sono coloro che troviamo scritto sui giornali, sono cariche di amicizia, al loro interno portano amore nel far vedere le proprie moschee, i mercati, cercano di farti avere in poche ore emozioni che diversamente non avresti avuto modo di avere. Ad Isfahan Aram mi ha fatto vedere con occhi di donna la vita che si vive in Iran, la mentalità, le volontà per il futuro, tutto ciò che a noi occidentali appaiono distanti quanto diverse. Quelle differenze che da anni sono dettate e che tu turista sei a conoscenza attraverso libri, letture, e da un grande cartello che i tuoi occhi incontrano quando attraversi il lungo quanto spazioso androne del nuovo aeroporto di Teheran, Imam Khomeini. Nelle lunghe chiacchierate si colgono tante sfumature di vita, tanti riflessi che ti conducono ai giorni d’oggi. Possono essere paragonate ai bagliori che un raggio di sole emette nel colpire una delle tante pareti di una moschea, sia che ti trovi a Teheran, Isfahan, Shiraz, Yazd, dove piastrelle policrome ti accecano. Alzi gli occhi, rimani incantato dalla maestosità, dal prezioso quanto lungo lavoro di ricoprire grandi pareti insignificanti di luoghi sacri da piccole piastrelle. Blu, giallo e oro i colori predominanti ma anche grandi caratteri in arabo e farsi che esprimono versi coranici, fiori minuziosamente ottenuti da piccoli pezzettini di piastrelle sapientemente assemblati che decorano colonne, arcate, portali. Il profumo che non emanano lo ritrovi all’interno del parco che custodisce la tomba del poeta Hafez, girando tra piante di aranceti, palme e alberelli in fiore, cinguettio di usignoli dove il tempo sembra essersi fermato. Mi trovo nel cuore della città di Shiraz, culla della cultura persiana e punto di partenza per la maestosa quanto mozzafiato visita a Persepoli. Scale monumentali, porte imponenti riccamente decorate, colonnati, maestose tombe mi portano alla mente la grandezza di uno dei più potenti imperi del mondo antico, quello degli Achemenidi. Il sole alto nel cielo mi permette di scrutare fra le tante rovine minuziosi dettagli, nulla è nell’ombra, scure colonne si stagliano nel cielo, slanciate e imponenti. I caldi raggi di un sole invernale mi permettono una sosta in una panca a pensare: davanti ai miei occhi la Porta di Serse da dove entravano le delegazioni straniere, alle mie spalle la Grande Scalinata ricavata da grandi blocchi di pietra con bassi scalini per consentire agli antichi persiani di salire con grazia verso il palazzo con le loro lunghe vesti. In lontananza, sulla vicina collina spoglia da alberi, le tombe di Artaserse II e III. La testa gira a 360 gradi intenta ad osservare quel che resta del Palazzo delle 100 Colonne, della Porta Incompiuta, dei Palazzi Reali, della Scalinata dell’Apatana e ad immaginare cosa e come fosse Persepoli in quell’epoca. Ma l’Iran non è solo archeologia, l’antica Persia nasconde anche il deserto che in una fredda mattina dicembrina attraverso in macchina con il mio amico Rashid. Per chilometri nulla, solo terra brulla, arida che si tinge di un rosso vermiglio col sorgere del sole. Nell’immediata vicinanza ma realmente distante da me la catena dei monti Zagros si staglia immersa in una nuvola di foschia mattutina. Terra ostile ai miei occhi ma ricca di acqua: nel suo cuore torrenti di acqua potabile dalle montagne attraversano il deserto per raggiungere la città di Yazd passando sotto terra. Ingegneria e tanto lavoro per questo metodo tradizionale per l’approvvigionamento idrico chiamato Qanat. Arrivo a Yazd e vicoli tortuosi, case in mattoni di fango e torri del vento mi danno il benvenuto. Un luogo dove pullula gente vivace, colorata e cordiale. Nello stesso tempo un sito sacro, centro della comunità zoroastriana che a suo modo segue le rigide regole iraniane. Ma la mia voglia di scoprire mi porta anche nel cuore del Paese, nelle terre dei nomadi, a Bavanat. Ai piedi dei monti Zagros trascorro giorni nel pieno silenzio e nella più classica atmosfera nomade. Strade sterrate e impolverate, case in mattoni di fango, anziani a piccoli gruppi che si scambiano idee accanto ad un improvvisato fuoco lungo la strada, ragazzini su datate motorette che ti osservano al tuo passaggio, quattro donne con abiti di un blu sgargiante sedute accanto ad una porta intente a giocare con vissute carte da gioco.

In lontananza un uomo di mezza età che rientra al paese col suo gregge di pecore di porta alla mente che ti trovi in un altro mondo dove ogni cosa avviene con serenità, spensieratezza. Qui trovi il reale relax che i nomadi da anni hanno intrapreso come principale pillola di vita.

Ritorno in Italia carico di tante nuove, uniche e indescrivibili emozioni per una terra tanto diversa quanto unica nel suo genere. Di tanto in tanto rivivo quei momenti nel raccontare le mie avventure, espressioni che lasciano intravedere la mia grande voglia di ritornare nella terra dei foulard per riabbracciare la sua gente e l’antica cultura che li contraddistingue.