Cina e Tibet

 

   

Cina Millenaria

 

Avevo un sogno: vedere la Cina. Il Paese era vivo nella mia mente ma solo dalle mie letture nonché dalle informazioni che avevo assunto con l’andare del tempo grazie ai Media. Contemporaneamente mi rendevo conto che sarei dovuto partire al più presto poiché tante erano le voci che davano per certo il rapido cambiamento della vita in quel Paese. Decisi così di trascorrere le vacanze nel Paese del Celeste Impero non appena mi si fosse presentata l’occasione in un viaggio in Oriente.

Immediatamente iniziai a fare progetto su ciò che avrei voluto vedere, quali città visitare, a quali terre dai nomi misteriosi potere andare e non ultimo sarebbe stata una buona occasione per incontrare alcuni miei corrispondenti cinesi. Però i miei programmi avevano bisogno di tempo così pensai di prendermi 4 settimane di libertà dal lavoro per realizzare il mio sogno. Al mio ritorno mi fu un po’ difficile scegliere quali ricordi, esperienze e luoghi valevano la pena che io trascrivessi nel mio diario.

Infatti durante il viaggio visitai diverse regioni e città e la prima che vidi fu Pechino. Per essere sincero la capitale non mi è piaciuta molto per la vita troppo intensa, le strade in generale sudice, la mancanza di igiene quasi ovunque, i tanti lavori in corso e le persone che non avevano un aspetto cordiale come quelle che avrei incontrato nel corso del mio viaggio. Anche se la realtà era al di sotto delle mie aspettative, l’incontro con Luogang, il mio amico di Pechino, mi ha fatto apprezzare quanto possano essere cordiali i cinesi, grazie a lui e alla sua moglie per avermi fatto cambiare idea sul complesso di tutta la popolazione. L’intensa conversazione che avemmo ha mitigato la mia prima impressione della città caotica che mi aveva accolto. Comunque sarebbe ingiusto se non ricordassi il quartiere degli Hutong, parte di Pechino, la parte vecchia di Pechino che ancora conserva il fascino dei vecchi tempi. Penso di non essere in grado di trasferire le emozioni sentite andando per le vecchie strade, vicoli e viuzze su un risciò: oltrepassare quelle casette nel tipico mezzo di trasporto è come condividere la vita di un Pechinese.

Gli Hutongs sono ciò che restano di vero autentico dalla Dinastia Ming ai giorni nostri. Mi dispiace se le Olimpiadi del 2008 distruggeranno quella “enorme bottega di un antiquario” che ancora resta così genuina.

Ne voglio dimenticare l’imponente veduta della Grande Muraglia né la sua lunghezza così severa da percorrere a piedi. Fu un peccato che nebbiolina non mi permettesse di godere la vista del panorama circostante la Grande Muraglia mentre faticosamente se ne percorre il tracciato. Una pallida luna rendeva il tutto surreale e tale vista sarebbe valsa un viaggio in se.

A circa due ore di volo ecco Xi’an, città moderna che ospita l’enorme esercito dei Guerrieri di Terracotta, vista mozzafiato che va oltre ogni immaginazione. La sua unicità mi spingeva a guardarli intensamente cercando di percepire gli innumerevoli dettagli delle migliaia di statue, alcune bagnate dalla pioggia battente che penetrava dalle fessure dell’enorme tetto sovrastante. L’elemento naturale contribuiva a dare un’atmosfera di morte e vita insieme. Il posto si trova tra piantagioni vastissime di melograni nel pieno della loro maturazione in quel periodo dell’anno.

Guilìn fu la mia tappa successiva. Dicono che ogni viaggiatore rimanga impressionato dalla forma originale delle colline chiamate “Pietre Pazze”. Sono innumerevoli; la forma conica le rende quasi una frangia ornamentale che delicatamente racchiude la città. Numerosi sono anche i fiumicelli e le risaie a terrazza punteggiate di bufali neri immersi nell’acqua fresca. Qualcosa di straordinario accadde all’alba: la pesca del cormorano, rischiosa, lenta e primitiva.

Il cielo era striato di ogni sfumatura di rosa: una vera, bella alba orientale. Il lucente piumaggio dei cormorani che fissavano l’acqua lenta e gorgogliante dei rivi, mentre i pescatori immobili sulle zattere fatti di 5 canne di bambù si tenevano in equilibrio con lunghe canne immerse fino a toccare il fondo del corso d’acqua contribuivano a completare questa visione quasi paradisiaca. La vera quintessenza della Cina stessa.

Un altro indimenticabile momento vissuto in prima persona si riferisce alla mia visita ai villaggi di campagna dove i contadini mi sorridevano gentilmente nonostante il caldo torrido.

Devo ricordare Sùzhoù con le sue famose fresche sete Cinesi, impalpabili e raffinate nonché Hanzhoù, e le sue piantagioni di tè a terrazze.

Così il tè è la bevanda nazionale e la preparazione è un vero e proprio rito. Sono stato fortunato ad essere protagonista di come si fa una tazza di tè in Cina. E’ stato un momento indimenticabile! Seduto in una poltrona di velluto blu, vicino ad un piccolo tavolino laccato ero pronto ad assistere alla cerimonia. Due sorridenti cinesine versarono in una tazza di porcellana azzurra acqua fumante su alcune foglie verdi di tè e l’aroma che si sprigionava coinvolgeva il gusto e l’anima.

Il nome magico Yangtzé mi ballava in mente, così volli provare l’emozione di navigare lungo il grande fiume su una maestosa nave da crociera. Durante i giorni a bordo potei apprezzare la varietà dei luoghi e delle vedute da entrambe le rive, le tre gole, l’imponente diga vicino a Yìchang e i numerosi ponti sotto i quali passava silenziosa la nave. Avevo l’impressione di fare un viaggio iniziando dalla mano di un corpo e salire su lungo un braccio gigantesco fino a raggiungere il cuore stesso del Paese. Il cuore sembrava pulsare nella brezza, nel silenzio delle montagne, e attraverso quel che i miei occhi vedevano nel lontano orizzonte: giorno e notte incessantemente. In breve la crociera fu indimenticabile e unica nel suo genere.

Ma, quale migliore occasione per recarmi in Tibet, quella regione psicologicamente tanto lontana dalla nostra cultura ed eppure così vicina a me quando mi trovavo nel cuore della Cina?

Dovevo semplicemente prendere due aerei e Lhasa sarebbe stata li ad aspettarmi. La difficoltà di respirare a 3800 metri di quota è niente in confronto alla difficoltà di ottenere i permessi per entrare nel Tibet.

Potrei ricordare tanti particolari vissuti ma debbo riassumerli tutti in un insieme di emozioni connesse con quello che maggiormente colpì la mia formazione culturale. Ogni secondo, minuto, ora e giorno mi cambiavano dal turista che ero in un pellegrino Tibetano. Come i pellegrini io in silenzio procedevo lungo il percorso religioso chiamato “Kora” tutto intorno ai templi dedicati al Buddha. Essi non sembravano interessarsi al paesaggio circostante ma erano intenti solo alla preghiera e alla purificazione. Riflettei su di loro poiché sapevo che venivano da poveri villaggi sparsi in tutto il Tibet e non prestavano alcuna attenzione alla bellezza della capitale Lhasa.

Ero così attento che non mi rendevo conto che ero giunto all’entrata principale del Tempio Jokhang e allo stesso tempo non capivo che stavo per valicare la soglia del più grande santuario religioso del Tibet. Mi pareva di essere davanti alla Basilica di San Pietro a Roma con la differenza che quello era il centro religioso del Lamaismo. L’interno mi riservava una grande sorpresa: la debole luce non mi permetteva di distinguere i pellegrini dai monaci. Che differenza dall’esterno dove i coloratissimi vestiti dei pellegrini si distinguevano nitidamente tra le magmatiche tuniche dei monaci!.

Un’unica atmosfera avvolgeva tutti i devoti. L’unica fonte di luce erano le fiammelle che ardevano nell’olio di burro di yak e i raggi di un pallido sole che filtrava dalle fessure nelle pareti. Le scritte dorate delle Ruote di Preghiera risplendevano a queste flebili luci ed illuminavano altrettanto flebilmente i volti di coloro che le facevano girare: bambini, adulti e vecchi. E grazie a loro io vivevo momenti indimenticabili.

Ero contento, meravigliato, incantato, ma come tutti, io volevo di più: avevo la sensazione di non avere ancora raggiunto l’anima del Tibet. Doveva essere ancora più in alto. Infatti, al Monastero Ganden a 5098 metri di quota, i miei occhi furono rapiti dalla vista di migliaia di Bandierine di Preghiera mosse dal vento. Percepivo che ero molto vicino al cielo azzurro e che sarebbe bastato, forse, allungare una mano e avrei raggiunto il cielo sopra di me. Tra me e la limpida volta non c’erano altro che Bandierine di Preghiera. Improvvisamente il silenzio fu rotto dal poderoso canto dei monaci seguito dal suono assordante di un gong. Quel canto di preghiera era mistico, imponente, singolare e misterioso; mi faceva sentire tutt’uno con il monaco che suonava quell’antico strumento. Quel continuo suono battuto con vigore aveva toni bassi e ripetuti sulla stessa nota, il che mi fece capire che avevo raggiunto l’apice del mio viaggio, sia in Tibet che nell’intera Cina.

Terminai il viaggio a Shànghài, metropoli moderna, caotica e pulita: una città in piena espansione. Ero felice nell’osservare gli altissimi grattacieli di vetro, gli audaci e colorati cavalcavia che uniscono le varie parti della città tra di loro e il Bund, un enorme cuore pulsante per milioni di abitanti. Debbo essere anche riconoscente ai miei due amici cinesi, Nicol e Michael, per le loro esaurienti spiegazioni ad ogni mio dubbio. Grazie all’aiuto di Nicol credo di poter dire di aver fatto mio lo spirito della città anche se passammo molto meno tempo di quanto avrei voluto con lei.

L’incontro con Michael mi ha fatto anche “assaporare” la metropoli: una cena succulenta e deliziosa portò vivacità al nostro incontro. Inoltre, una libera conversazione tra le piccole bancarelle di Pudong ci accompagnò fino al mio albergo e qui lo invitai a salire nella mia camera all’85° piano, prima di salutarci definitivamente. Era mia intenzione contraccambiare in qualche modo la gentilezza di Michael mostrandogli la veduta di Shanghai dall’alto di un ultra moderno hotel. Gli debbo il piacere di avermi tradotto dal cinese una parte del poema di Du Fu (712-770 DC) tratto dalla raccolta “Pioggerella in una notte di primavera” che troneggiava sopra il mio letto. Quella notte dormì profondamente godendomi il significato dei caratteri cinesi sopra il mio capo in attesa di un buon risveglio. Quando aprii gli occhi mi trovai in mezzo a grandi nuvole bianche: per un attimo vissi nel cielo rievocando le parole delicate della poesia. Alla mattina visitai la parte vecchia della città, da solo, e mi sembrò ancora più povera e piccola di quello che realmente è, vista da occhi che oramai erano diventati “metropolitani”.

Concludendo, questo è un viaggio che sarei disposto a rifare anche subito, potendo. Non avrei mai pensato di riassumere Ovest ed Est, Nord e Sud, la vita di campagna e la vita di città, povertà e ricchezza: l’elemento unificante di tali diversità sono state la generale gentilezza delle persone e il calore che ti avvolge nell’incontrarli.